Tutte le cose che vorrei dirti.

Vorrei dirti che nella vita le cose diventano difficili prima di essere facili. E non diventano nemmeno realmente facili: sei tu che diventi più brava…

Dalla parte del bullo: Il libro di Julian.

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Quello dei libri per Young Adults è un filone sottovalutato. E’ certamente pieno di roba stile ‘vampiri-cuori in vacanza-whatsappami ancora’ e ‘mostri-robot-videogames’ ma anche di veri e propri capolavori (Harry Potter vi dice niente?). Pescare ogni tanto fra i titoli di questa categoria permette di scoprire alcuni libri davvero degni di nota: freschi e orginali, ma soprattutto poco contorti nel voler espressamente parlare di sentimenti. Quelli che a quindici, sedici anni sono ed è giusto che siano assoluti e fortissimi, e che con l’età dobbiamo giustificare a noi stessi.

Negli ultimi mesi mi è capitato di leggere due libri davvero molto belli, che qui a Londra avevo già adocchiato da un po’ e che in Italia sono pubblicati da Giunti: Wonder e Il libro di Julian, di R.J.Palacio.

Trattano un tema atipico e piuttosto forte per essere Young Adults: la diversità fisica. La storia del primo libro, Wonder, raccontata in modo corale dal punto di vista di diversi personaggi della storia, è quella del faticoso inserimento in una scuola ‘normale’ di Auggie, un ragazzino ‘fuori dal normale’. Auggie, infatti, soffre di una serie di malformazioni che rendono il suo aspetto molto diverso da quello di tutti gli altri ragazzini. Un aspetto che inquieta anche gli adulti, i primi a non riuscire a gestire la situazione.

Pur trattato un tema tanto complesso, il tono della storia è semplice e onesto. Tutti, Auggie incluso, affrontano la situazione allo scoperto. Il faticoso, delicato passaggio dal distogliere lo sguardo al cercarlo, dall’evitare il contatto a stringere un abbraccio, coglie senza girarci intorno il disagio che ognuno di noi prova davanti al diverso, allo sconosciuto, prima di compiere la scelta di accettarlo o – nel peggiore dei casi – rifiutarlo.

In Wonder questo rifiuto è incarnato da Julian, che respinge l’idea di diventare amico di Auggie e inizia a tentare di allontanarlo da sé e dai suoi amici con veri e propri atti di bullismo – dall’isolamento alla derisione, dalla violenza verbale agli abusi scritti. Quello di Julian è l’unico punto di vista ‘ignorato’ nel primo libro, e per una ragione: il secondo libro della serie è interamente dedicato a lui.

Il libro di Julian è un libro sul bullismo, raccontato dalla parte del bullo. Il che significa che non è un libro sulla violenza, ma un libro sul disagio, sulla paura e sugli errori da difesa. Quello che colpisce di Julian sono le chiarissime, semplici ragioni che lo spingono a tentare di allontanare Auggie dalla sua scuola. Colpiscono perché possiamo relazionarci a questi sentimenti: ognuno di noi, nel corso della propria vita, ha avuto paura e si è sentito minacciato da una situazione che percepiva come troppo grande da gestire. Il rifiuto e la fuga sono le prime armi di difesa e certamente non tutti arriviamo ad atti di bullismo o violenza, ma se ci facciamo un esame di coscienza potremmo scoprire che anche noi abbiamo prevaricato qualcuno nella nostra vita, senza per questo sentirci dei bulli.

Io l’ho vista anche in persone insospettabili – gentili, amabili, altruiste – la crudeltà che scatta nel momento in cui si percepisce qualcuno come una minaccia. La feroce difesa del proprio territorio. La paura che diventa giustificazione, perché tu – nella mia testa – stai per togliermi qualcosa che è mio. Mi stai per danneggiare, ti stai appropriando di qualcosa – una parte di me, una persona, un ruolo, un modo di essere – che mi sono faticosamente conquistato. E io devo impedirtelo.

Questione di un frammento di secondo, e tutto cambia.

La cosa peggiore è che il bullo crede di essere nel giusto e di avere tutte le motivazioni in regola: danneggio perché sono danneggiato.

Certamente: ci sono bulli che si fanno semplicemente e stupidamente trascinare dal gruppo senza ragione e senza criterio. Ma, più spesso, ogni forma di violenza è espressione di un disagio che va raccolto, indagato, ascoltato. Spesso, nel corso di una situazione di abuso, a soffrire sono entrambi: chi viene abusato, e chi abusa.

Ho idea che la fatica che il violento fa per giustificare a sé stesso la propria condotta sia una mole di lavoro psicologico spesso insostenibile. Cambia equilibri e sostituisce certezze con teorie. La principale di queste teorie, di questi racconti a sé stesso per riuscire a convivere col proprio lato oscuro, si riassume spesso in un paio di idee: è giusto.  E non è niente di che. Se il tuo contesto sociale primario, famiglia e amici stretti, avallano questo comportamento e sostengono le tue giustificazioni, ecco che i tuoi atti di bullismo non li riconosci nemmeno più. E’ il caso delle situazioni di razzismo – razzismo che se andiamo nel dettaglio e ne analizziamo le forme: xenofobia, omofobia etc. scopriamo che quella radice -fobia, paura, identifica forse la più grande delle paure umane: quella di mettere in discussione i propri valori e le proprie certezze, la paura del cambiamento. In queste situazioni è il contesto sociale stesso che avalla la violenza e la discriminazione, e lo fa minimizzandola. Prendete le battute sui gay, o sulle persone di colore. Battute che sono violenze, violenze che – per chi le compie – quasi non esistono.

Non esistono. Sono niente di che. Sono ma fattela na cazzo di risata ogni tanto, sfigato. Sono spostiamoci che se no viene a sedersi vicino a noi. Sono no, prof, non mi metta in banco con lui. Sono non hai amici, non piaci a nessuno.

Che siate mai stati vittime di bullismo, o che mai abbiate detto o pensato una di queste frasi, capite a cosa mi riferisco. E sapete molto bene che il discorso non si ferma alle mura di un liceo. Siamo tutti ancora a scuola, le dinamiche alla fine sono sempre le stesse. Stemperate dal supposto buon senso dell’età adulta, ma ancora terribilmente presenti.

Troll, online bullying: vi dice niente? E’ esattamente lo stesso.

E allora forse prima della prossima parola sciocca, prima dell’ennesimo commento gratuito, forse vale la pena fermarsi un momento a pensare: perché sento il bisogno di insultare qualcuno? Di che cosa ho paura? Cosa sta facendo questa persona che io percepisco come una minaccia? Se fossi io al suo posto, come mi sentirei?

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Post in collaborazione con Giunti.

 

 

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