
Credevo che avrei amato per sempre la persona di cui ero innamorata.
Credevo di essere troppo piccola per fare cose adatte a persone della mia età.
Credevo di avere tantissimi limiti, e tantissimi divieti, e che fossero reali. E normali.
Credevo che il mio metabolismo avrebbe – mortacci sua – tenuto il ritmo.
Credevo che nessuno si sentisse come me. Credevo di sentire tutto il dolore del mondo, a volte. Mi spaccava, mi passava il petto da parte a parte come un coltello, e lì restava.
Credevo di essere sbagliata in modo totale e irrimediabile in quanto me stessa, e per questo in modo inguaribile.
Credevo che il fondotinta massima coprenza fosse tutto sommato invisibile, ma non ho mai creduto che il correttore coprisse davvero i brufoli.
Credevo di non volere cose che erano gli altri a non volere per me, e in questo ho perso parte della mia identità.
Non capendo quali fossero i miei desideri, credevo di non avere il diritto di combattere per essi. Compreso il diritto a non averne.
Credevo che fosse normale sentirsi dire ‘non puoi’, e non sentirsi mai dire ‘divertiti’.
Credevo che il Bailey’s fosse buonissimo.
Credevo che passare la serata e a volte anche la notte sdraiata sul pavimento a disegnare o ascoltare musica, o fare le due cose insieme, fosse un modo accettabile di essere strana.
Credevo nei sonniferi.
Credevo che nell’essere strana ci fosse qualcosa di intrinsecamente glorioso e forse lo penso tuttora, ma adesso so che è una delle cose che ci raccontiamo per non faticare a combattere certi difetti.
Credevo di non essere come gli altri, ma non sapevo che ‘gli altri’ è un conglomerato di unità egualmente diverse fra sé stesse – o forse mi rifiutavo di crederlo perché doveva pur esserci un vantaggio in quell’essere outsider.
Credevo che bastasse crederci, ma non avevo capito che questo implicasse qualche azione quindi in realtà non funzionava mai un cazzo.
Credevo che dire frasi assolute mi facesse percepire come forte e carismatica invece che come scema.
Credevo in certe amiche.
Credevo che quelle che vedevo ricevere i Baci a San Valentino, le mimose alla Festa della Donna e i baci che avrei ucciso per avere sarebbero cresciute distante anni luce da me, invece no – ma ancora siamo due razze diverse e non mi capacito la facilità con la quale ci si confonde.
Credevo che avrei scritto, e ho scritto.
Credevo che avrei avuto un palco, ma non l’ho avuto.
Credevo che a trent’anni sarei stata molto diversa da come sono ora, ma diversa in modo diverso da me stessa, invece sono diversa ma in modo uguale a me stessa.
Credevo che ad un certo punto sarebbe finita la fase delle domande, non che sarebbero cambiate le cazzo di domande.
Credevo che non avrei mai esposto le mie debolezze in un post del genere, che chiunque avrebbe potuto leggere, e della mia capacità di buttare l’anima in piazza solo perché qualcuno, leggendo, si senta come me e annuisca sentendosi meno solo, meno diverso, meno deprivato, sono contenta.
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