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Alcune settimane fa è successo qualcosa che mi ha scosso. Sono tornata a casa quasi in lacrime, e durante la notte mi sono svegliata diverse volte per gli incubi. Loro erano lì con me. Lui, perché dormiamo insieme. Lei, perché non ha ben capito perché noi possiamo dormire accompagnati e lei no, quindi si infila sotto il nostro piumone quasi ogni notte intorno alle due.
Mentre lui allungava la mano per accarezzarmi, lei mi metteva la manina calda sulla guancia e mi diceva “è tutto a posto mamma, adesso respiri, ti rilassi e dormi, io sono qui con te”.
Che è quello che a volte le dico io, ma detto da lei con quei capelli stropicciati e quelle guanciotte che nel sonno sembrano due morbidi palloncini rosa, suonava molto più convincente.
Mi sono sentita immensamente fortunata ad avere loro due accanto. Loro, che mi amano per quella che sono, difetti inclusi. E che comunque vadano le cose saranno lì con me, ad abbracciarmi. Mi chiedo spesso in che modo io mi stia prendendo cura di loro e ripagando il loro amore. Se io lo stia facendo, innanzitutto, e poi se io lo stia facendo nel modo giusto.
Ci sono delle cose nelle quali sicuramente non riesco, ma altre che sto provando a fare. Per il loro bene, e il mio, e perché insieme – i nostri due ‘bene’ – fanno quello che si chiama famiglia.
Mi prendo cura di me stessa o, almeno, ci provo. Può sembrare una contraddizione, ma non c’è cosa più vera: se non stai bene tu, se non sei in equilibrio e in pace, difficilmente riuscirai a trasmettere a chi hai accanto sentimenti positivi, di calore, di fiducia. Lo noto in prima persona. Nei periodi in cui sto bene, anche la mia famiglia sta meglio. Non sono solo i bambini ad essere ‘spugne’ e assorbire i nostri stati d’animo – un po’ come fossero meteoropatici del nostro umore – ma anche il nostro compagno/a, e oserei dire addirittura il nostro ambiente. La casa, le stanze, è come se assorbissero anche loro parte di questo malessere. Quando sto male, tutto intorno a me in qualche modo peggiora, come se l’armonia si fosse spezzata. E poi c’è una differenza estrema tra l’avere accanto una persona felice e risolta, pronta a dire una parola gentile, ad incoraggiare e a vedere il lato positivo delle situazioni, e l’avere accanto una persona infelice e frustrata, pronta a far polemica, arrabbiarsi e lamentarsi. La prima cosa da fare per prendersi cura degli altri è quindi, secondo me, imparare a prendersi cura di sé stessi innanzitutto.
Cerco di essere presente, perché, si: esserci ed essere presente sono due cose diverse. Quando sono in casa e scrivo al computere, assorta da quello che succede su uno schermo, ci sono ma non sono presente. Quando sono seduta al tavolo di un ristorante ma sto leggendo gli status dei miei amici su Facebook, ci sono ma non sono presente. Quando chiedo a Viola com’è andata la sua giornata, ma intanto penso a quel pacco che devo spedire alle poste – chissà se a quest’ora ha già chiuso, oddio mi sono dimenticata di rispondere a quella mail, eh, si certo che ho sentito amore. che hai detto? – ci sono, ma non sono presente. L’esercizio, in questo momento storico in cui siamo tutti collegati 24/7 è quello di staccare non solo dal mondo virtuale ma anche dai nostri pensieri ed essere presenti nel momento, con le persone che abbiamo accanto. Non solo esserci. Perché ‘stare li’ non è abbastanza.
Istituisco dei rituali. Le abitudini mi piacciono tanto quanto le sorprese, lo confesso. Per me ‘abitudine’ è creare qualcosa di piacevole, a mia misura, e fare lo stesso per la mia famiglia. Una sera alla settimana, ad esempio, la serata ‘cinema’ con pizza e film. O il sabato mattina la passeggiata fino al farmers market per la spesa, poi il brunch fuori. Il rituale della buonanotte, ogni sera, con la favola che prima leggevo io a lei e ora legge lei a me. La luce accesa fino a quando non dorme, noi con una serie accesa e il ‘rumore di tv’ che le dà sicurezza. Io e Lui, e le nostre maratone di serie tv, il sacro patto di non vedere una puntata quando l’altro non c’è. Rilassarci sul letto insieme nel weekend, mentre lei gioca di là.
Facciamo colazione e cena sempre insieme. Ovviamente questo ha delle deroghe, ad esempio quando si fa tardi la sera e uno dei due dorme di più, o quando si esce, ma in generale sono i due appuntamenti fissi della nostra giornata – qualsiasi cosa accada. La colazione è il momento del buongiorno e delle coccole per attutire il risveglio e iniziare meglio la giornata, mentre la cena ne è il resoconto. Ultimamente abbiamo preso l’abitudine di chiederci a vicenda ‘la cosa bella successa oggi’. Questo dà per scontato che in qualsiasi giorno ce ne sia almeno una, e spero possa rimanere impresso a Viola come prospettiva sulla vita.
Faccio piccole cose che spero ricordino, o forse che spero Viola prenda come abitudine – quella di circondarsi di cose belle, creare un ambiente felice. Per lei, un bigliettino nella cartella insieme alla merenda. O una stringa di lucine nuova per il salotto, tipo quella che ho appeso oggi e che quando ha trovato ha detto ‘wooow!’ e sorrideva. Un gioco nuovo che impariamo insieme, e che probabilmente sbagliamo anche insieme. Una nuova ricetta di cioccolata calda che proviamo e beviamo insieme. Interrompere un pomeriggio in cui ho ancora molto lavoro da fare per giocare a cinque partite di Indovina Chi?. I braccialetti di perline e filo che ci facciamo, e poi perdiamo, e poi ci rifacciamo. Coprire le pareti della sua stanza di cuoricini di carta quella volta che sono partita – e sono ancora li. Per Lui, fosse anche solo un bacio, ma è il bacio – vero, non uno stampino – che interrompe un momento faticoso.
In generale, alla fine, quello che faccio è semplicemente il mio meglio. Non certo il meglio in assoluto. Il mio. Con tutti gli sbagli che faccio, con tutti i casini del giorno, con tutte le arrabbiature e le urla inutili, con il mio umore sulle montagne russe. Non è facile, non è perfetto, ma è quello che sono.
E quello che sono – un disastro che si impegna – quello che è lei – piccola, testardissima e dittatrice ma anche dolcissima e dal cuore buono – quello che è Lui, orso e ombroso, ma anche tenero e vulnerabile – compone quello che siamo noi.
E ognuno di noi si prende cura degli altri, a modo suo.
E ognuno di noi fa sentire gli altri amati.
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