
Il mio livello di paranoia è alto. Ogni sera, dopo averla messa a letto e prima di mettermi a letto io, vado a controllarla nella sua stanza. La accarezzo, verifico che sia tutto a posto. Mi accerto che la finestra sia chiusa e le sue coperte rimboccate.
Il fatto è questo: siamo responsabili di qualcosa fuori dal nostro controllo.
Abbiamo figli che sono pezzi di noi, ce li siamo cresciuti dentro, ne conosciamo ogni forma e odore come se i loro corpi fossero i nostri, più dei nostri. Li amiamo come non ameremo mai nessuno, ci sono esplosi dentro facendo tanto più spazio nel cuore di quello che credevamo di avere. Eppure dobbiamo, ogni giorno, venire a patti con l’idea che la vita avviene al di fuori di ciò che facciamo: fuori dalle carezze e dai baci, dalle storie della buonanotte, dalle lacrime asciugate, dalle febbri curate, dalle risate solleticate fuori da una pancina morbida.
Fuori c’è il caso, e il caso è capace di cose estreme. Il caso può unire come separare. Può lastricarti davanti una vita lunga e bella, o lunga e difficile, così come sfilartela da sotto i piedi. Così come toglierti ogni cosa. Toglierti anche tuo figlio.
Lo sappiamo. E’ per questo che nei momenti di allerta torniamo gli animali che siamo, in allerta intorno ai cuccioli. Le pupille si dilatano, il battito accelera, e facciamo quello che sappiamo fare: ci prendiamo cura di loro. Ed è strano che sia proprio quella parola a definire ciò che dedichiamo loro, cura, quando a volte è proprio quella che non saremmo in grado di dargli.
Un paio di settimane fa sarei dovuta andare due giorni a Milano. Il mio sarebbe stato un viaggio diverso, questa volta.
Sarei partita insieme alla famiglia Elson, inglesi, per accompagnarli durante i controlli medici dei loro figli Connie e Joe all’Istituto San Raffaele Telethon di Milano.
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Telethon: il nome non vi suonerà nuovo, anzi probabilmente lo avete sentito spesso. Vi fa probabilmente venire in mente la maratona televisiva, in onda proprio in questi giorni, in cui si chiedono donazioni per la ricerca.
Potrei interrogarvi, e scoprirei che quasi nessuno di voi sa cosa faccia esattamente Telethon. Vorrei spiegarvelo io, perché adesso lo so molto bene.
Telethon, che è stata fondata per iniziativa di un gruppo di pazienti affetti da distrofia muscolare, si occupa di finanziare ricerca e sviluppo di terapie per le malattie genetiche rare. Nei suoi istituti di ricerca, come l’Istituto SR-Tiget di Milano, scienziati, medici e infermieri lavorano ogni giorno per studiare malattie di cui nessuno si è mai sufficientemente occupato, e per dare una speranza a tutte le persone che ne soffrono, spesso bambini.
Dal 1990 ad oggi, Telethon ha stanziato oltre 475 milioni di euro per il finanziamento di oltre 2.600 progetti di ricerca scientifica.
La ricerca ha permesso di mettere a punto terapie per alcune malattie rare prima considerate incurabili come Ada-Scid, leucodistrofia metacromatica e sindrome di Wiskott Aldrich, ma anche migliorare la qualità della vita dei pazienti affetti da malattie neuromuscolari e far uscire dal buio pazienti della cui malattia non si conosceva neanche il nome, grazie alla scoperta del gene responsabile.
La storia della famiglia Elson è al tempo stesso straziante e piena di speranza.
Nicola ed Ian Elson erano entrambi inconsapevoli portatori sani del gene della MLD, leucodistrofia metacromatica, malattia neurodegenerativa che porta alla perdita progressiva di tutte le facoltà motorie e neurocognitive. Non lo sanno, ma hanno una possibilità su 4 di trasmettere la malattia ai loro figli.
Se ne accorgono drammaticamente alcuni anni fa, quando la loro primogenita Connie inizia ad avere disturbi nello sviluppo e nell’apprendimento: dopo vari test le viene diagnosticata la malattia.
Con il cuore in gola, gli Elson fanno testare anche il loro secondo figlio, Joe, sperando che il caso questa volta sia dalla loro parte. Arriva la seconda tragica notizia: anche Joe, nonostante non abbia alcun sintomo, ha ereditato la MLD.
Non c’è una cura.
Questo è quello che viene loro detto. Perché una cura no, non c’è, ma quello che gli Elson trovano è una speranza: una programma di sperimentazione presso l’Istituto San Raffaele Telethon di Milano, dove da diversi anni tra le malattie genetiche rare studiate qui c’è anche la MLD.
Devono però affrontare un altro enorme dramma: Joe può rientrare nel programma, mentre è troppo tardi per curare Connie, i suoi sintomi denotano uno stadio della malattia troppo avanzato per intervenire.
Posso solamente immaginare la sensazione di devastante ingiustizia e impotenza, rabbia, dolore, e anche quell’inutile senso di colpa che noi genitori proviamo quando non riusciamo a proteggere i nostri figli che possono aver provato Nicola ed Ian.
Ma una speranza c’è, ed è incredibilmente forte: la speranza che Joe guarisca. Grazie alla terapia, infatti, Joe oggi è un bambino normale che salta, corre, gioca, va a scuola come tutti i suoi compagni. La ricerca svolta è riuscita a fornirgli cellule contenenti il gene sano, fermando lo sviluppo della malattia.
Non voglio dilungarmi troppo ma lasciarvi a questo video, dove conoscerete insieme a me la famiglia Elson ed entreremo insieme nei laboratori di Telethon.
Se volete rendere questo Natale un pizzico più speciale, io vi consiglio di mettere anche una piccola donazione sotto l’albero della ricerca di Telethon. Cliccando qui troverete tutte le informazioni per farlo, dalla cosa più semplice a donazioni più importanti e durature, fino ai regali di Natale solidali a cui vi consiglio di dare un’occhiata, se ordinate oggi siete ancora in tempo per averli sotto l’albero. Io ho preso il bracciale con il cuoricino da regalare!
La cosa bella è che potete anche donare il vostro tempo: come volontari.
Sarebbe bellissimo se per ogni bambino malato ci fosse una cura.
Per tutti i Joe, e tutte le Connie.
Sarebbe il più bel regalo di Natale non solo per le loro famiglie ma, davvero, per tutti quanti.
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