
Siamo tornati a casa intorno alle sei e mezza di sera. Le solite sette ore e più di viaggio da una casa all’altra, le solite valigione da svuotare, le lavatrici da mandare, le spiegazioni da dare a Viola per raccontare come mai non si può vivere tutti insieme. Lei ha quest’idea romantica che tornare in Italia vorrebbe dire vivere insieme alla nonna e alla zia, perché ci ospitano quando siamo lì.
Ma siamo in tre, qui. Cuciniamo per tre, pianifichiamo per tre, viviamo in tre.
A volte sembra una vita a misura, altre sembra una vita solitaria, ma mai davvero brutta. Abbiamo discusso tanto di Londra ultimamente, di come stiamo qui, della possibilità di muoverci. Ancora non abbiamo deciso nulla, ma è illuminante e liberatorio sganciarsi dalle aspettative degli altri, dal corso delle vite altrui, dalle imposizioni lavorative e scolastiche e pensare solo:
staremo quanto ci va e poi andremo altrove, e lo faremo per scelta.
Siamo due freelance adesso, niente ci trattiene qui come niente ci porta altrove. Possiamo scegliere. Certo, il lavoro e la disponibilità di occasioni professionali sono sempre una bussola importante che punta spesso verso l’Italia, ma non abbiamo pressioni se non le nostre considerazioni. Se non, in fondo, la nostra idea di felicità.
E’ una condizione privilegiata e spaventosa, perché se da una parte hai la libertà di fare qualsiasi scelta, sai che questa scelta condizionerà tutto quanto. Se questo sarà nel bene o nel male solo il futuro potrà dirlo.
Non capita spesso di cambiare Paese ‘per scelta’. Si fa più spesso per dovere: una proposta lavorativa, una necessità economica, un raggiungimento familiare. Quando è una decisione, va ben ponderata. O forse, più che previsioni e ragionamenti, richiede una certa dose di leggerezza e fatalismo.
Vai perché ti muovi, per restare in movimento.
Perché di fermarsi c’è tutto il tempo, ma di offrirsi possibilità di vita diverse, no.
Siamo terrorizzati, devo dirvelo. Un giorno è ‘resteremo qui’ e un giorno è ‘andiamo a Milano, torniamo a Roma, andiamo a New York, viviamo in campagna’. Ma sento, avverto chiaramente, la posizione di potere che questo ci offre. Quello di avere, per la prima volta, sganciati – nel bene e nel male – da lavori dipendenti, la nostra vita tra le mani.
E’ che delle mie mani non mi fido tanto.
Delle nostre, insieme, forse un po’ di più.
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