
C’era questa lunga to-do list che ho postato su Stories all’inizio della scorsa settimana.
Recitava di mail a cui rispondere e post da scrivere, video da girare e foto da scattare. Stavo esercitando il mio diritto all’ottimismo produttivo, in sintesi. Quello che mi salta addosso il lunedì mattina e mi abbandona la stessa mattina intorno alle 12.40
Credo di aver capito qualcosa, di me come degli altri: la produttività non è una linea retta, non è governabile ed è diversa per ognuno. Io, ad esempio, ho dei picchi di produttività che mi consentono di fare moltissime cose in breve tempo, e all’inverso baratri di nullafacenza, che in passato mi facevano sentire estremamente colpevole.
Oggi ho capito che l’uno non può esistere senza l’altro.
Ho picchi di produttività perché sono in grado di ricaricarmi.
Quella capacità di fare è motivata e azionata dalla mia indulgenza nel non fare.
Ho capito che il mio modo di affrontare il lavoro creativo è questo: ricaricarmi per poi tirar fuori. Senza input, che nel mio caso sono nutrimento mentale e fisico come letture, visioni e sperimentazioni, non c’è output.
Il riposo e il piacere sono la benzina per la strada della produttività che devo percorrere.
Questo mi rende una lavoratrice pigra e meno produttiva di altri, ma forse più originale
Ci viene imposto di ragionare in termini di massima produttività, ma in base a che cosa dobbiamo massimizzare? Non voglio ridurre il tutto a una critica del sistema capitalista, anche se va giustamente criticato, ma banalmente riflettere sul concetto di qualità della vita.
Purtroppo devo ancora incontrare una persona d’affari di successo che abbia anche un’alta qualità della vita per come io la intendo. Hanno sicuramente mezzi, belle case, belle vacanze, lussi, ma accompagnati da un sottofondo di mancanza di tempo, di stress, di senso di urgenza, che non combacia con la mia idea di godersi la vita.
Non voglio dire ‘chiosco di banane’ come alternativa, ma un ritmo di vita che sia nel mezzo e che si fondi sull’idea che
quella fetta in più che potremmo produrre è anche, al rovescio, una fetta di tempo in cui dedicarci al piacere.
Ragiono contro ciò che ci insegnano fin da piccoli – cioè non perdere tempo, non star lì a far niente, hai finito i compiti? e allora avvantaggiati su quelli per domani, non puoi sempre giocare – e contro il presenzialismo, quella cosa che non ho mai capito.
Qui in UK il presenzialismo non esiste perché il solo concetto di restare in ufficio oltre l’orario lavorativo è percepito come cattiva organizzazione. Se in otto ore al giorno non riesci a fare i compiti che devi fare, hai un problema di approccio.
La misura non è quanto tempo dedico al lavoro, ma se riesco o meno a terminare quanto mi sono prefissata.
C’era questo mio ex collega che faceva il creativo, e che per fare il suo lavoro – che era appunto produrre idee – lui usciva dall’ufficio e si andava a fare un giro. Si prendeva un gelato, o si sedeva a un bar. Si incontrava con un amico e ne parlava, o entrava in qualche mostra o negozio. Poi a volte se ne andava a casa. Il suo metodo di lavoro non era meno efficace del suo amico che, invece, restava incollato alla scrivania.
La differenza era che il primo produceva con i suoi ritmi, il secondo con i ritmi imposti dall’azienda.
E allora, questa to-do list, l’ho completata?
Non tutta. Ma va bene così.
Qualità su quantità, ma soprattutto qualità della vita.
(I gioielli che indosso nel post sono di MerciMaman ma questo NON è un post sponsorizzato. Ho comuque un codice sconto MACHEDAV15 qualora vi piacciano.)
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