
Vi devo premettere che scrivo questo post con un hangover quindi, se non ha senso, pace.
Per una vita hanno elogiato il valore del non mollare. Del ‘non importa quanto avverse siano le circostanze, tu insisti’. Anzi: maggiore la lotta, più difficile la strada, più valido il risultato.
Se ci pensate bene, è la trama del 90% dei film motivazionali: Tizio che non si crede ‘abbastanza’ per coronare il suo sogno e ha pure un buon livello di sfighe e/o circostanze avverse. Tizio che ha l’illuminazione e/o incontra il suo mentore e decide di giocarsi il tutto per tutto impegnandosi come un pazzo in quelle scene in sequenza rapida in cui da mingherlino diventa invincibile, da underdog diventa vincente, da ignorante si fa una cultura e via dicendo. Alla fine Tizio corona il suo sogno, conquista la bella di turno e vince tra gli applausi – senza dimenticare lo sfigato che è stato e ottenendo la sua rivincita.
E’ così, no? Siamo talmente assuefatti a questo immaginario evolutivo orientato alla vittoria tramite superamento dei limiti, che a volte passiamo attraverso una fase di negazione degli stessi. Questo ci fa perdere un sacco di tempo, ci fa sprecare energie e in ultima analisi forse non ci rende nemmeno troppo felici.
Prendiamo un esempio del cazzo: voglio vincere la gara di apertura di lattine perché mi piace tantissimo, la trovo un’arte completa e raffinata, ma non ho un apriscatole. (Flashback della povera famiglia che non si è mai potuta permettere gli apriscatole e della bambina in calzini corti bulleggiata perché non aveva mai assaggiato un ananas sciroppato.)
Dunque: è concretamente possibile che se la gara consiste nell’aprire una lattina e io sono l’unica concorrente senza apriscatole, alla fine possa uscirmene fuori con una soluzione geniale – o sbatterla contro un sasso finché non si apre. La domanda è: anche se aprire lattine mi piace moltissimo, vale la pena di sbattermi a provare ad aprire una lattina senza apriscatole quando magari in tasca ho un cacciavite e potrei facilmente vincere tutte le gare di svitaviti? > ‘Svitaviti’. Sono commossa dalla pessima qualità di esempi che sto facendo. Diamo la colpa al vino.
La risposta è dentro di me, ed è: BOH.
Mi sono resa conto che perseverare quando hai una passione, nonostante limiti oggettivi, è sia una soddisfazione che fonte di grandissima frustrazione ma purtroppo è una necessità. Se sono una bravissima cantante ma voglio fare lo chef, ci sono chance che essere un mediocre chef mi soddisfi più che essere una grande cantante > Miglioro con gli esempi, ma non di tanto.
Al tempo stesso, visto che dalle grandi passioni derivano grandi tormenti, bisogna anche pensare alla propria salute mentale e al proprio ultimo bene. Se sei lì che tenti di aprire una lattina senza apriscatole e lanci mortaccitua a tutti quelli che intorno a te, per culo o per talento, hanno sto cazzo di apriscatole, la cosa non ti fa benissimo. E se insisti in qualcosa in cui sei palesemente non portato, puoi migliorare ma non eccellere, ed essere messo davanti alla tua mediocrità – limitata a quello specifico contesto – può mandare messaggi sbagliati alla tua autostima in generale.
Conclusione: sono per l’insistere finché ti fa stare (almeno un po’) bene. Sono per il mollare qualche volta. Diciamo, quando la situazione inizia a somigliare alla relazione che avevi con quel tipo che tu adoravi e per il quale avresti fatto di tutto, che però non chiamava mai, usciva senza di te e in generale non ti dava niente in cambio se non delle meravigliose quanto improbabili fantasie.
Detto questo ciao, vado a non mollare perché io sono una che ci resta sottissimo.
Attendo le vostre riflessioni in proposito ma per par condicio non accetto commenti se siete completamente sobri.
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