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Molestare una collega sul posto di lavoro può portare al licenziamento per giusta causa? La legge è chiara

Lo sapevi che, in caso di molestia a una collega sul posto di lavoro, la legge parla chiaro e si potrebbe anche rischiare il licenziamento? 

Ebbene sì, la legge parla chiaro e in particolare è ormai arrivata la risposta definitiva anche da parte della Cassazione: pare infatti che, qualora ci si macchi di molestia ai danni di una collega sul posto di lavoro, allora si può andare anche incontro a una molestia per giusta causa.

Molestare una collega sul posto di lavoro – machedavvero.it

A dare il colpo decisivo verso questa decisione è stato proprio un caso realmente verificatosi, e in cui il lavoratore in questione aveva contestato la decisione che lo vedeva perdere il lavoro: la legge, però, si è questa volta dimostrata essere irremovibile.

Per scoprire maggiori dettagli su questo fatto di cronaca e soprattutto capire come si è arrivati a questa decisione, continuate a leggere insieme a noi.

Licenziamo per molestia sul posto di lavoro

Nel corso di questa vicenda, infatti, la corte d’appello ha sin da subito respinto il reclamo di questo lavoratore, sporto mediante il tribunale di Arezzo: il suo licenziamento è dunque stato considerato legittimo a causa di alcuni comportamenti consistenti in molestie sessuali e soprattutto ai danni di una collega. Lei, neo assunta e con contratto a tempo determinato, aveva il compito di occuparsi così come il suo pari del banco al bar. Non sono mancate delle precedenti denunce, per la precisione ben due in diverse occasioni a causa di allusioni verbali ma anche fisiche a sfondo sessuale.

Molestare una collega sul posto di lavoro – machedavvero

Inoltre, sono state consegnate anche delle prove a carico della molestia subita dalla giovane neo assunta: come per esempio prove di stalking che andata a rendere oggettiva la valutazione in merito al comportamento dell’imputato. Così, a seguito di alcune discussioni, è stato deciso di scrivere nero su bianco questa verità: qualsiasi tipo di allusione a sfondo sessuali ai danni di una collega e sul posto di lavoro, può portare in modo diretto e senza possibilità di replica al licenziamento del lavoratore in questione.

Nonostante, dunque, i reclami l’esito dell’appello non è cambiato. Si è provato, infatti, ad appellarsi a ben due questioni specifiche: da un lato l’estraneità ai fatti dello stalking, e che per tanto non dovrebbe essere considerati tra i fattori imputabili per licenziamento. E, in secondo luogo, la difficoltà nel definire con precisione oggettiva le cosiddette molestie sul lavoro. Il giudice però è stato irremovibile e ha dunque incluso il comportamento del lavoratore in questione nel concetto e nella nozione di molestia, e per tanto effettuato con l’intento e la volontà di arrecare un’offesa.
Simona Contaldi

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