Attenzione se si condividono gli screenshot di messaggi e foto, perché il codice penale prevede delle sanzioni molto severe.
A tutti sarà capitato, almeno una volta, di fare degli screenshot con il proprio cellulare. Si tratta di un metodo molto semplice per conservare conversazioni, dati e foto, immortalando lo schermo del dispositivo.
Occhio, però, a passare i file a terzi soggetti, perché tale azione potrebbe nascondere delle insidie a livello giuridico. La legge è intervenuta per regolamentare l’utilizzo della tecnologia e dei mezzi di comunicazione, per evitare che un cattivo uso possa ledere i diritti altrui.
Non tutti sono consapevoli dei pericoli legati alla condivisione non consensuale di screenshot, da cui potrebbe derivare il reato di diffamazione. In quali casi la condotta integra un illecito e in che modo viene punita? Ecco cosa stabilisce la normativa italiana.
Condivisione di screenshot privati: le ipotesi in cui si rischiano sanzioni penali
Il legislatore ha esteso la portata dell’articolo 616 del codice penale anche alle chat del cellulare. Nel dettaglio, viene condannata la violazione, la sottrazione e la soppressione della corrispondenza, con la reclusione fino a 3 anni.
In altre parole, è considerato reato la condivisione di screenshot a terze persone, se dalla condotta deriva un danno per la vittima. L’articolo 617 septies del codice penale, poi, vieta la diffusione di riprese o registrazioni ottenute in maniera fraudolenta e punisce i trasgressori con la reclusione fino a 4 anni, nell’ipotesi in cui la condivisione del materiale abbia lo scopo di danneggiare la reputazione della vittima.
Ma quando la condivisione degli screenshot è reato? Se viene lesa la reputazione altrui, viene diffuso il materiale a più persone e in assenza del soggetto offeso. L’elemento fondamentale, quindi, è la reputazione.
Chiariamo che, per la legge, è responsabile non solo chi invia gli screenshot ma anche chi li riceve, che deve rispettare la segretezza della corrispondenza e non condividerli a sua volta senza un motivo lecito. In tal caso, l’articolo 618 del codice penale punisce chi rivela questa tipologia di contenuti con la reclusione fino a 6 mesi oppure con l’ammenda da 103 a 516 euro.
Per il legislatore, infine, il reato di diffamazione si configura anche nel caso di diffusione sui social network, se dall’atto deriva la lesione della reputazione della vittima. Al giorno d’oggi, i social sono trattati alla stregua dei mezzi di stampa, perché possono raggiungere milioni di persone. I trasgressori che diffondono conversazioni private senza autorizzazione rischiano la reclusione fino a 4 anni e una multa di almeno 516 euro.